
Nel momento esatto in cui, dopo venti minuti scarsi di partita il capitano Giovanni Di Lorenzo è entrato alla disperata su Haaland lanciato a rete, ancor prima che il Var certificasse quello che era parso chiaro a tutti tranne che al signor Felix Zwayer da Berlino, i tifosi napoletani hanno compreso che il vero problema era che la partita si stesse giocando ieri e non oggi.
Non si poteva, francamente, chiedere a San Gennaro di anticipare di un giorno le sue attività, anche se è parso chiaro che per uscire indenni dall’Ethiad Stadium giocando in inferiorità numerica per 70 minuti più recupero, occorresse proprio un miracolo (con le mani in alto, da 100 punti alla Gaetano e non da 50 alla Raffaele, per intenderci).
A quel punto Antonio Conte ha fatto quello che un po’ tutti i tifosi hanno pensato e al contempo sperato che non facesse, ovvero togliere dal campo il figliol prodigo Kevin Debruyne nella sua serata dinanzi al suo ex pubblico che, naturalmente, gli ha tributato un’ovazione sia prima del match, sia al momento dell’uscita anticipata dal campo. Giusto ricordare come Kevin, nonostante, immaginiamo, la cocente amarezza, non abbia sbraitato contro l’allenatore, lanciato la maglietta, preso a calci bottigline nè sia scappato negli spogliatoio come tante ex star azzurre in tempi recenti, ma si è professionalmente seduto in panchina a dare sostegno ai compagni: quando si dice essere un fuoriclasse.
La scelta di Conte è apparsa comprensibile anche se l’effetto è stato quello di realizzare per il 19 di Hojlund la più classica solitudine dei numeri primi nella metà campo del City.
Peccato, perché per la prima parte di gara il Napoli ha dato l’impressione di poter sfidare i Cityzens con il coraggio di andare a pressarli alti (certo, sarebbe stata comunque da verificare la tenuta 90 minuti) e provare qualche imbucata dietro la linea difensiva e, in fondo, la prima vera occasione del match è stata il colpo di testa di Beukema su azione d’angolo, sventata da Donnarumma.
Purtroppo però l’errore di Di Lorenzo su Haaland ha trasformato la partita del Napoli in una prova di strenua resistenza che aveva scarse possibilità di arrivare con successo fino al ‘90, non in Champions dove talento e qualità fanno la differenza.
Già, perché l’inevitabile superiorità dei ragazzi di Guardiola, per concretizzarsi, ha avuto bisogno di due veri capolavori: scavetto da poesia di Foden per il soffice colpo di testa del gigante norvegese (50 gol in Champions in 49 partite, per gradire) e assolo alla Tomba del diavoletto Doku.
È dunque da rimandare ogni valutazione sulle reali ambizioni che il Napoli potrà avere in questa competizione, anche se la capacità di resistere alla pressione inglese senza mai scomporsi è un valore che questa squadra ha nel suo DNA sin dalla scorsa stagione. Dopo il gol del 2-0 e con una mezz’ora scarsa ancora da giocare il rischio di un’imbarcata era reale, invece il Napoli, grazie anche alla freschezza dei nuovi entrati, è stato bravo a mantenersi in linea di galleggiamento e impedire che il City esondasse da ogni parte.
La manovra del Manchester in verità ə apparsa più lenta del passato, frutto probabilmente non solo dell’inevitabile abbassarsi degli azzurri (scuro) ma anche di una scelta ragionata di Guardiola di non concedere facili ripartenze agli uomini di Conte. Si è trattato in fondo di attendere con pazienza il momento giusto, quello in cui i fuoriclasse trovassero l’ispirazione giusta per decidere la partita.
Antonio Conte ha comunque apprezzato molte cose nella partita dei suoi: l’abnegazione, la disciplina e la capacità di reggere l’urto.
Leonardo Spinazzola ha dimostrato di essere un giocatore pienamente ritrovato anche dal punto di vista fisico, Matteo Politano, capitano dopo l’espulsione di Di Lorenzo, è stato a tratti commovente e forse non è un caso che subito dopo la sua uscita dal campo siano arrivati i due gol del Manchester.
Milinkovic Savic è stato davvero bravo trai pali nel primo tempo e anche coraggioso in uscita sfruttando la sua fisicità, la coppia centrale ha arginato Haaland e compagni finché ha potuto.
Difficile chiedere di più al centrocampo azzurro invece, sempre a rincorrere il giro palla infinito di Rodri, Bernardo Silva, Foden e dei centrali difensivi in costante costruzione. Non ha aiutato gli azzurri una direzione di gara apparsa molto “all’inglese”, per non dire casalinga, ma certamente l’arbitraggio non è stato un fattore decisivo.
In definitiva, una lezione che servirà: in Champions ogni piccolo errore si paga e chi ha qualità e classe fa la differenza. Dovrà farla anche il Napoli nelle prossime partite europee, ma non abbiamo dubbi che nel viaggio di ritorno Antonio Conte avrà ricordato ai suoi giocatori di pensare ad una sola cosa: il Pisa.



