
“Firenze lo sai, non è servita a cambiarla” cantava il compianto Ivan Graziani. Ed invece, stavolta, Firenze forse ha cambiato la direzione del Napoli.
La squadra rocciosa, terribilmente pragmatica, sangue, sudore e grinta, pronta a difendere con le unghie e con i denti il risicato vantaggio che tante volte abbiamo visto e apprezzato lo scorso anno, ha lasciato il campo ad una nuova creatura che Antonio Conte ha voluto scientemente battezzare nella prima trasferta ostica della stagione.
Non è un caso – nulla è lasciato a caso nella sagace genialità del Mister azzurro – che nel sabato delle tante incognite, con i ko di Meret e Rahmani a costituire con Lukaku un terzetto di pilastri mancanti, con 14 nazionali rientrati alla spicciolata dopo battaglie in giro per il mondo e con l’eco di una nota musichetta che si avvicina, sia esploso un Napoli dominante, capace di annichilire avversari certamente più che “bravini” (come qualche incauto cronista ha provato a definire i viola, subito richiamato all’ordine dal condottiero azzurro) che ha messo in mostra una qualità di gioco che con Conte non si era ancora mai vista.
Certo, a leggere il tabellino dei marcatori, il pensiero non può che andare anche alla sontuosa campagna estiva di rafforzamento e lo sfolgorante esordio di Rasmus Hojlund induce a sconfinare in considerazioni meno drammatiche sull’infortunio di Lukaku (certamente una grave mancanza nello scacchiere azzurro) che ha aperto una chance di rafforzamento anticipato (costosa, per carità), subito colta da ADL e Manna, che le nonne avrebbero dipinto con un antico adagio: “Ogni impedimento, è giovamento”.
Avete presente quando Rafael Nadal, subito dopo il sorteggio a metà campo, sprintava verso il fondo campo e cominciava a massacrare psicologicamente i suoi avversari sin dai palleggi di riscaldamento? Ecco, il Napoli di ieri sembrava composto da 11 tori di Manacor sulla terra rossa del Roland Garros: pronti via, una pressione asfissiante a tutto campo sui portatori viola, tale da annebbiare vista e cervello agli avversari e indurli a retrocedere nella propria metà campo.
Se poi, a questa indomita aggressività, si aggiunge la qualità di Lobotka e Debruyne e la lucida furia agonistica di Anguissa (ma non era appena tornato dall’Africa? Sara che i viaggi in Camerun sono diversi da quelli in Nigeria…), si spiega come mai dopo un quarto d’ora, la partita è stata già ampiamente indirizzata.
Dicevamo dell’esordio con i fiocchi del centravanti danese che ha mostrato ieri quanto la sua capacità di attaccare la profondità (caratteristica che non ha nessuno degli attaccanti azzurri nè dello scorso anno, nè di questo) possa costituire un upgrade decisivo soprattutto contro squadre che non si limiteranno a piazzare l’autobus davanti alla porta.
Contro quelle tornerà sicuramente utile Lorenzo Lucca, che anche ieri non ha convinto nello spezzone che ha giocato, ma che siamo convinti che gradualmente troverà spazio e capacità di incidere.
L’inedita coppia centrale composta da Buongiorno e Beukema ha risposto alla grande, con l’olandese che oltre al gol ha mostrato le sue capacità in costruzione. Ma soprattutto lo spauracchio Kean è stato reso sostanzialmente inoffensivo, mentre di Dzeko ( storicamente infausto per la difesa azzurra) non si hanno proprio avuto notizie.
Abbiamo già terminato le parole per sottolineare l’abnegazione di Politano e la costanza di Di Lorenzo, ma qualcosa in più va detto per l’inizio di stagione di Leonardo Spinazzola: il tocco felpato con cui ha mandato in porta Hojlund è degno di KDB, ma la capacità di gestire con serenità la doppia fase è una felice sorpresa di questo nuovo Napoli.
Ha esordito anche Milinkovic Savic, probabilmente in anticipo sui programmi di Conte: non sicurissimo sul gol di Ranieri, ma poi due interventi decisivi che hanno evitato 10 minuti di passione assolutamente non in preventivo.
E qui, tocca riflettere sul finale di partita che certamente avrà fatto imbestialire il tecnico salentino. Quando in tv ha manifestato il suo disappunto, premettendo però che “voglio bene a tutti i ragazzi, sono il loro fratello maggiore, anzi un padre” abbiamo capito che nella familiarità dello spogliatoio del Franchi saranno volati un paio di urlacci.
Bene così, perché correre il rischio di riaprire una partita stradominata, sarebbe stato davvero folle.
È tuttavia inevitabile che, con il divario visto in campo sino al ‘78 e il “Die Meister! Die Besten! Les Grandes Equipes! The Champions!” che si avvicinava un piccolo calo di concentrazione si manifestasse. Il gol di Ranieri ha chiaramente rianimato i toscani grazie anche al risveglio del pubblico che sin lì si era fatto notare solo per i soliti ridicoli ed imbarazzanti (per loro) cori: una meraviglia come Firenze non merita gente così, ma è una vecchia storia.
Stavolta i nuovi entrati non sono stati in grado di mantenere il livello, anche se Elmas e Neres sono andati vicini a chiudere la partita, mentre Olivera è parso ancora un po’ frastornato.
Stiamo per chiudere questa analisi senza aver nominato il miglior giocatore dello scorso campionato e questa potrebbe essere, in fondo, la migliore notizia per il futuro. Scott McTominay non è ancora il dominatore che fu, forse perché sta cercando di adattarsi ai nuovi meccanismi del centrocampo azzurro in cui trovare gli equilibri con i numeri e i movimenti di Kevin Debruyne: se ciò accadrà, tra qualche tempo, potremmo dire che Conte non avrà cantato “una canzone triste, triste, triste” ma “ disegnato e riempito cartelle di sogni”.



