
Antonio Conte è il protagonista della nuova puntata di Federico Buffa Talks, produzione originale Sky Sport con Federico Buffa e il direttore Federico Ferri. Nel corso dell’intervista, Conte ha parlato della sua storia con la Juventus ma anche di attualità e per la prima volta ha raccontato cosa è accaduto davvero nel finale di stagione dopo lo Scudetto a Napoli, il chiarimento con De Laurentiis e la scelta di restare.
Di seguito un estratto delle parole del tecnico dei partenopei:
“Sono cicatrici profonde che ti porti, per questo tiro fuori una cattiveria che può far paura o timore. Cerco in tutti i modi di vincere e celebrare la vittoria, cosa che io in passato spesso non ho fatto e di cui mi sono pentito. A Napoli me la sono goduta perchè si fa tanto per arrivare al traguardo e vincere, poi te la devi godere altrimenti non ha senso il percorso e non ha senso fare sacrifici”.
“La passione che ho per il calcio mi porta a superare tutte le difficoltà, noi dobbiamo sapere cosa siamo disposti a sacrificare. La prima domanda che farei ad un allenatore è cosa sei disposto a perdere, ma anche ad un calciatore. Io il mio primo ritiro l’ho fatto a 15 anni, ho fatto una scelta perchè sacrifichi le vacanze, l’estate, finisci la scuola e inizia il ritiro in montagna ed il lavoro. Sacrifichi l’estate, l’adolescenza, il rapporto con gli amici, la discoteca”
“La gestione dell’ultimo anno in bianconero di Del Piero? Alessandro fu veramente importante, perchè accettò il fatto di non essere un titolare fisso però nei momenti importanti fu fondamentale. Lui ad inizio stagione venne annunciato sarebbe stato l’ultimo anno, se mi avesse chiesto di continuare io gliel’avrei detto che mi sarebbe piaciuto allungargli la carriera alla Juventus. Alessandro si comportò da grande campione”.
“Io quando arrivo ad Arezzo, pronti-via non sono allenatore. Sono uno che pensa di essere allenatore, in virtù del fatto di esser stato allenato da tutti i grandi tecnici di quel periodo. Tranne Capello, io sono stato allenato da Lippi, Sacchi, Ancelotti, Fascetti, Mazzone”.
“Arrivo ad Arezzo e penso di essere un allenatore per questo motivo, ma non ero un allenatore. Prendo questa bella mazzata nei denti e capisco che devo studiare. Quando dico che ad Arezzo ho fatto cinque anni in uno, lì divento allenatore. Ringrazio anche il Signore di essere stato mandato via. Perché se non vengo mandato via e non capisco alcune dinamiche, e non mi metto a studiare, magari rimango l’Antonio Conte che crede di essere allenatore ma è ancora giocatore nella testa”.
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